sabato 4 gennaio 2014

Perché continuo a praticare Aikido.

****** AVVERTENZE E CONTROINDICAZIONI ******


  1. Questo post non sarà nè breve nè sintetico.
  2. Sarà slegato, non scorrevole.
  3. Questo post potrebbe essere di qualche valore solo per me stesso, e per i 3/4 gatti che mi sono vicini nella vita.
  4. Per tutti gli altri: se almeno una volta non ti sei mai fortemente eccitato con la fantasia di essere un uchi-deshi all'hombu, la lettura di questo post potrebbe risultare estremamente pallosa. E, a pensarci, anche chi ne ha avute di fantasie simili potrebbe trovarlo palloso.
  5. Per chi mi detesta, al di là delle lungaggini, si possono trovare utili indicazioni per farlo ancora di più.
  6. L'autore del blog (io) declina ogni responsabilità. E questo già da molto tempo.
Ritorno alla tastiera avendo nella testa di scrivere di Aikido dopo veramente molto tempo. Negli anni, dopo il viaggio del 2007 con il quale nacque questo blog, sono tornato in Giappone per fare Aikido altri 9 mesi a cavallo tra il 2009 e il 2010.
Il 18/10/2013,sono tornato ad allenarmi dopo circa 3 anni di stop-and-go continuo, che mi hanno imposto, prima ricominciare, poi di ri-ricominciare, per finire a ri-ri-ricominciare e infine a gettare la spugna
Come direbbe Crozza- Briatore ho raggiunto il "top" di voglia e tenuta fisica nell'estate 2010 per poi cadere nel baratro a settembre al ritorno alla pratica. Appena messo il culo sul tatami per fare due ukemi di riscaldamento la parte mediana delle mie ginocchia non ne ha voluto sapere di farmi proseguire: impossibile. Nessun chiaro trauma, semplicemente non riuscivo più piegare le ginocchia senza provare dolore.
Come direi io, ho raggiunto il "top" della mia presunzione e inganno in un giorno dell'inverno 2009, quando il mio maestro d'elezione, Shoiji Seki, si avvicinò ad un mio amico durante la pratica  chiedendogli se io volessi diventare un maestro. Interpellato, ebbi un piccola esitazione e dissi "si". So che nessuno mi crederebbe se dicessi che considerai l'accaduto una cosa normale, che era nelle cose, non una forzatura, né qualcosa di cui vantarsi dentro o fuori di me, semplicemente uno sviluppo naturale di quello che stavo facendo. Mi si dovrebbe credere compatendomi, non tanto sospettandomi di vanagloria, come potessi immaginare di diventare un maestro di aikido quando non avevo ancora neanche praticato regolarmente per 10 anni ( e avendone 42 ) mi sembra ora una cosa pazzesca e ridicola, ma tant'è.
Ora, chiunque abbia superato la barriere sonica dei 5/6 allenamenti alla settimana per molto tempo ben sa ( io lo sapevo) che convivere con dolori fisici anche fastidiosi e/o acciacchi vari diventa una sorta di normalità, ed anzi, quasi un'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo nella pratica.
Ma al "niet" delle mie rotule di quel settembre 2010 sono andati ad aggiungersi altri ostacoli off-tatami ( ma chiamiamole anche buone scuse) che mi hanno portato a non allenarmi più.
Per uno come me che di keiko viveva, è stato un duro colpo.
E se avevo smesso di scrivere di Aikido su questo blog nel 2008, perché avevo capito chiaramente come, pur rispettando l'irruenza della mia passione, non avevo molto da dire di sostanziale perché non sapevo nulla di sostanziale, adesso smettevo anche di allenarmi.
E, riassumendo, così via per gli ultimi 3 anni, vivendo come continuo contrasto ( e anche se non serio, per me drammatico) tra il dover andare al dojo e il non averne alcuna voglia o intenzione, una sorta di  koan in tono minore a cui non riuscivo a dare soluzione o risposta.
Quante volte in questi anni ho preparato il mattino lo zaino con il mio keikogi ben ripiegato e pulito, e poi la sera tornando a casa in tangenziale con lo scooter arrivando in prossimità dell'uscita giusta, quella che portava al dojo, scuotevo la testa sotto il casco e tiravo dritto sino a casa. Tante.

(passano 3 mesi )

3 gennaio 2014, il tempo di questo ritorno all'aikido si allunga ancora di più. Iniziato a scrivere ad Ottobre 2013 nella convinzione di esserci arrivato - sono tornato ad allenarmi ! -  e mi sono fermato, ancora una volta, ho smesso l'allenamento, non ho trovato più la voglia. E lì, mi si è spezzato qualcosa.
 I giapponesi hanno un motto che suona all'incirca "cadere 7 volte, rialzarsi 8", ecco, io avevo superato le 13/14 volte, e non vedevo grandi chance di rialzarmi la quindicesima.
Delle volte sul tatami mi sono sentito come una sorta di reduce, qualcuno che ha detto-fatto-vissuto qualcosa di bello e di valore un tempo ormai lontano, ma che nel presente è solo, può solo, essere una specie di ricordo sbiadito.

Fulminato all'età di 37 anni dall'Aikido sulla mia personalissima via di Damasco che mi ha portato in Giappone col pensiero che, un giorno non troppo lontano, sarei diventato maestro (sic!) ho dovuto fare i conti con il più semplice e potente dei Kihon, che per diventare qualsiasi cosa in Aikido, il primo requisito è andarci al dojo, andarci molto tempo, e poi...continuare ad andarci. Semplice, no. No. Non per me almeno. 
Non mi sono mai fatto illusioni romantiche e/o para-spirituali sulla pratica dell'Aikido, sin dall'inizio mi è stato chiaro che si trattava di faticare, non capire, brancolare, ed imparare a convivere con una positiva frustrazione, che non lascia spazio a molti "ah, ho capito !".
Mi sono sentito sempre attrezzato per non cadere in molte delle trappole che una passione intensa può generare.
Non era vero neanche questo. 
Vado al punto doloroso, via il dente, via il dolore ( o forse solo via il dente): sono stato insofferente e invidioso e leggermente rancoroso in questi tre anni. Capire, comprendere, sentire come persone che avevano praticato con me, magari avendo iniziato dopo di me, adesso erano avanti, erano progrediti nei gradi, non cosa che mi faccia perdere il sonno questa, ma, e soprattutto, nella conoscenza della pratica, nella continuità della pratica, mi aveva depresso e scoglionato, parimenti.
E siccome non si palesano queste emozioni negative agli altri con facilità, mi sono rifugiato nel più facile dei rifugi: fingere con nonchalance , e fare finta di niente, scherzandoci su scherzandomi da solo prima che a qualcuno venisse in mente di farlo veramente, diventare una specie di aiki-fantasma che si presenta al dojo inaspettatamente un mese sì e uno no, secondo un calendario stralunato e solitario.
Non è stato facile per me. 
Eppure sono ancora qui, a scrivere il mio ultimo post, questo sì definitivo, per dire, che sì, torno ad allenarmi.
Complici di questa quindicesima rialzata sono state 3 cose fondamentali:

  • le chiamate del mio maestro Emilio Cardia
  • un paio di micro-satori semplici semplici, come un bicchiere d'acqua.
  • Aikido non è una faccenda individuale.
Emilio, l'M° lo lasciamo da parte adesso, di tanto in tanto mi chiamava, semplici e brevi telefonate senza una vera e propria ragione, che però avevano l'effetto di smuovere tutti i detriti con cui avevo coperto il ricordo dell'Aikido. Niente di trascendentale, ma a furia di fingere e scherzare si finisce con lo scordare, e io, che ero stato matto per l'aikido, l'aikido me lo ero totalmente scordato per lunghi periodi. 


Poi, in alcuni allenamenti di Dicembre 2013, eccoli i miei piccoli satorini, che qualcun'altro, a buona ragione, potrebbe chiamare semplice buonsenso: improvvisamente ho capito che in 9 anni di Aikido, avevo messo una montagna di energia, intensità e voglia, ma nel farlo mi ero scordato una cosa semplice: il mio corpo. Il mio corpo, pur godendo della pratica, ha subito tutta questa attività senza che io facessi nulla di veramente sostanziale per prendermene cura. Dico, 9 anni di esercizi di stretching ed ancora non riesco a toccarmi la punta dei piedi !!! ho preteso che ogni qualvolta mi fosse venuta la bizza di salire sul tatami lui mi seguisse fedele e pronto, un po' come chiedere ad uno che sta in carrozzella il 90% del tempo di mettersi improvvisamente a fare zompi per la strada.

In un altro momento che non ricordo già più, mi si è chiarito che io dovevo lavorare per me, e smettere di guardare nel piatto altrui. Come concetto è semplice, ma viverlo in pratica è un altro paio di maniche. Potrà sicuramente capitare ancora che mi girino le palle perchè il mio tori e/o uke ha l'alito cattivo, che mi spieghi come fare  shihonage come io credo non si debba fare, o semplicemente perché mi sia antipatico, questo è sicuro, ma nessuno mi toglierà più quello che ho capito: "qual'è il mio problema su stò tatami ?" il resto è letteratura.

E per finire, una lezione "principianti", sempre a Dicembre, mi ha spalancato gli occhi e dilatato i pori del mio cervello, ed è passato il messaggio fulmineo e fulminante: "Chi cazzo è un principiante ?". Ed in qualità di satorino non ho modo ulteriore di spiegarlo.

Alla fine di questa pippa necessaria ma non sufficiente, ringrazio chi in giro per tatami in questi anni mi riconosceva e mi diceva: " ah, ma tu sei simone bricco, quello del blog, etc, etc".
Li ringrazio, perché ogni volta mi han fatto sentire sempre più piccino, inadeguato ed un filino cretino, ché a cotanto blog doveva seguire cotanto aikidoka. Ecco, io non sono più simone bricco che ha scritto il blog sull'aikido, non sono un reduce del giappone, sono un iscritto al dojo di Corsico, milano hinterland, che ci ha un sacco di lavoro da fare.


Simone

P.S. e il 3° punto ? ah dimenticavo, aikido è un gioco che si fa grazie ad altri che fanno aikido con te, mica siamo tennisti !




1 commento:

Denis Rosatto ha detto...

Allora, bentornato! :)